L'insegnate di religione

Francesca Veronese

 

Ho conosciuto Don Emilio Gandolfo in prima liceo; avevo allora quasi sedici anni e quindi, per quei tempi ero molto bambina. Facevo fatica a capirlo perché quello che diceva era "fuori dal normale" - se così si può dire - contesto scolastico della cosiddetta "ora di religione".

Don Emilio non ci 'insegnava' niente, ma ci faceva riflettere a partire da testimonianze di persone che nella loro vita e nel loro operare avevano in qualche modo incarnato la Parola di Dio: Thomas Mann, Gertrud Stein, Bernanos, il dottor Schweitzer ad esempio. E ci ha dato degli strumenti per capire cosa potesse essere, se lo volevamo, il nostro vivere "da cristiani" e per spiegarci che la Parola di Dio è anche parola delle donne e degli uomini, cioè parola di tutti i giorni, e che quindi la Bibbia va usata come un accompagnamento quotidiano secondo il nostro tempo e la nostra storia e non come una "dottrina" imposta dall'alto, ma piuttosto come un libro che "Un Altro" ci ha consegnato e donato (affidato?).

Da più grande ho imparato a conoscerlo e ad avere colloquio con lui: perché con lui non si potevano fare conti sul ricevere ed il dare. Ho anche imparato il nesso molto stretto tra l'importanza per la nostra vita, di saper leggere i libri della Bibbia, e anche capito il perché del suo amore grande per i Padri della Chiesa (Origene, Agostino, Ambrogio, Ignazio di Antiochia, Tommaso d'Aquino e soprattutto il suo grande amico Gregorio Magno che tramite lui ci ha insegnato la "semplicità del giusto".

Lui si affidava a questi suoi grandi interlocutori (oggi forse si direbbe virtuali) ma anche ai suoi amici del vivere quotidiano: in particolare (senza fare però gerarchie di nessun genere) a coloro che con lui avevano fatto un po’ di "strada" nell'amicizia, nell'affidare a lui le loro promesse coniugali e sulle strade di Gesù e di San Paolo, quando il camminare con loro diventava anche concreto e faticoso sia fisicamente sia concettualmente; perché a lui piaceva molto ripercorrere la "Terra dei nostri Padri", con le sue sorprese, con la riscoperta dei luoghi (che in genere sono chiamati 'santi') nei quali, solo a mio avviso, si può meglio capire il significato di molte Parabole e di tanti contenuti del Nuovo e dell'Antico Testamento.

Lungo queste strade Don Emilio ha davvero incontrato molte persone: tutte tra loro diverse per nome e cognome, per situazioni di storia personale, per situazioni di quotidianità e/o di emergenza, ma anche parlando di sé per confrontarsi con tutti coloro che con lui avevano in qualche modo un rapporto.

La sua comunicazione più istituzionalizzata - ma non mi piace questo termine, pensando a lui - erano i libretti che ci mandava regolarmente all'inizio dell'Avvento e durante la Quaresima, a volte a Pentecoste, per accompagnarci nei nostri personali cammini verso il Natale e e verso la Pasqua, momenti che per i cristiani sono un appuntamento ed un incontro fondamentale con il nostro credere in Dio, nella sua Parola e nella sua storia.

Don Emilio raccoglieva per noi dei testi biblici, ma anche dei testi di letterati nei quali lui continuava ad intuire un messaggio la cui attualizzazione del nostro credere quotidiano fosse possibile e portatore di nuove novità.

Parlo di don Emilio Gandolfo perché lui ha lasciato molte tracce in tutte le persone che hanno avuto modo di incontrarlo. Adesso che lui è morto, è stato violentemente e cattivamente ucciso nella sua canonica a Vernazza, lo scorso 2 dicembre, noi, suoi tanti amici, lo pensiamo con grande nostalgia e pensiamo anche che ci diceva che "il tacere ed ascoltare" era uno dei tanti modi di vivere e di preparare il futuro.

Ritorno al suo "essere insegnante di religione" . Così si chiamava e così, tutto sommato, si chiama anche adesso questa figura professionale. L’ ora di religione (e questa espressione la dice già lunga sul come era istituzionalmente pensata, cioè come l’ora di ginnastica, le ore di latino, quelle di matematica e di scienze e tutte le altre).

In tutte le cose scritte da lui, almeno per il momento, non mi sembra si sia riflettuto abbastanza, su questo suo ruolo che per molti di noi che continuiamo a volergli bene, è stato quello che ci ha permesso di conoscerlo e, perché no, di "apprezzarlo" e di amarlo. Resta, questo fatto, per me sorprendente: fin da quegli anni il disagio su questo tipo di "insegnamento" si sentiva nell’aria: si trattava di una materia ritenuta marginale (ricordo un anno in cui era piazzata alla quinta ora del sabato…) scomoda, anomala, difficilmente chiara nel nostro curricolo (allora non si chiamava così) di studi; per tutto questo don Emilio è stato ed è ancora, apprezzabile (e vorrei dar peso a questa parola): non era come gli altri perché ci dava strumenti per capire, stimoli per imparare, leggere, studiare altro.

Credo che su questa problematica non si sia fino ad ora riflettuto abbastanza. Mi piacerebbe che diventasse una "sfida" per chi ancora insegna religione nelle scuole e per i suoi fratelli nel sacerdozio, che forse sono alle prese con una realtà – quella scolastica – sempre più in evoluzione, ma tuttora con molte contraddizioni irrisolte.

Roma, gennaio 2000